giovedì 28 agosto 2014

martedì 29 luglio 2014

sabato 3 maggio 2014

LE RUOTE DELLA MEDICINA: L'ASTRONOMIA DEGLI INDIANI D’AMERICA di Oriano Spazzoli

«Eravamo un popolo senza leggi, ma eravamo in ottimi rapporti con il grande spirito, Creatore e Signore del tutto. Ci giudicavate dei selvaggi. Non capivate le nostre preghiere; né cercavate di capirle. Quando cantiamo le nostre lodi al Sole, alla Luna o al vento ci trattate da idolatri. Senza capire ci avete condannati come anime perse solo perché la nostra religione è diversa dalla vostra»
(Capo indiano del XIX secolo).
Con questa breve trattazione non ci prefiggiamo lo scopo di formulare un giudizio impossibile sulla scienza indiana o, peggio, di tracciarne un improponibile confronto con la nostra; vogliamo soltanto riflettere su di uno degli aspetti del rapporto della cultura indiana con la natura, elemento centrale della loro vita e della loro cultura. Per gli indiani la natura è la vita stessa, e per questo è sacra in tutte le sue forme, amiche od ostili, ed il suo culto è espressione della loro gratitudine nonché di una grande fantasia e sensibilità poetica.
È chiaro che le spiegazioni dei fenomeni naturali, e quindi anche dei fenomeni astronomici per i popoli dell’America settentrionale si confondono con la religione e la mitologia, e oggi ci fanno sorridere ma non possiamo non riflettere sul fatto che popoli che sono vissuti per secoli legati a tradizioni antichissime, così lontane dal nostro modo di vivere quotidiano, abbiano acquisito dall’esperienza e conservato un patrimonio di conoscenze e capacità assai profondo. Allo stesso modo non si può non convenire che il rigore analitico e matematico (che caratterizza la nostra scienza) è qualità umana non antitetica, ma complementare alla fantasia e alla capacità di cogliere gli aspetti poetici della natura.
La storia della civiltà degli Indiani d’America parte dal momento in cui, oltre 40.000 anni fa, in due successive ondate alcune popolazioni dell’Asia attraversarono l’istmo di Bering (oggi sommerso dall’oceano) e discesero nel continente Americano occupandolo dall’Alaska fino alla Terra del Fuoco. I popoli che si insediarono in America del Nord diedero vita a Culture diverse, succedutesi nel tempo e in parti diverse del continente: dall’antica Cultura di Kociss (Utah), alla Cultura dei Mogollon (Nuovo Messico), in cui comincia ad essere praticata l’agricoltura, agli Hohokam (Arizona), abili artigiani incisori, agli Anasazi (gli “anziani”) costruttori di case in mattoni (le “kivas”) in Arizona, i quali furono costretti a migrare verso il 1300 d.c., per la siccità e per le invasioni di ApachesNavajos, cui successero le culture delle pianure, Adena e Hopewell, che si diffusero nella valle del Mississippi da cui ebbero origine molte “famiglie” note (Cheyenne, Arapaho, Crow, Pawnee, le varie famiglie Sioux ecc.).

RELIGIONE
Per gli Indiani tutti i fenomeni che non possono essere spiegati con l’esperienza quotidiana o con sue dirette applicazioni rientrano nella sfera del soprannaturale (ciò è per essi la “medicina”); l’origine del mondo e delle sue varie forme, i mutamenti cui è soggetta la natura (come, ad esempio, i moti periodici degli astri), i pericoli improvvisi, la malattia e la morte rappresentano la manifestazione di una entità spirituale. Questa spesso si concretizza in diverse forme (animali, alberi, astri), ma in qualche caso non viene identificata materialmente ma venerata, secondo una visione del mondo panteistica, come un unico Grande Spirito che è parte di ogni cosa. L’uomo può comunicare con il soprannaturale mediante le visioni e i sogni, i cui protagonisti sono le sue stesse materializzazioni; il protagonista di una visione diventa “spirito-guida” individuale.
Nella pratica religiosa esistono due figure fondamentali: lo sciamano e il sacerdote, anche se molto spesso esse vengono incarnate dalla stessa persona. Lo sciamano, o “uomo-medicina” (il termine “medicina” in questo contesto non ha il significato che ha nella nostra tradizione, ma quello di “mistero” o “soprannaturale”), è colui che è stato dotato dalla natura di una capacità particolare di comunicare con il mondo soprannaturale mediante le visioni nonché di dimostrarne l’esistenza con la pratica della magia (lo sciamano deve avere astuzia, fantasia ed una personalità inquieta, tormentata, attratta più dal mistero dell’oscurità, del sogno o della morte di quanto non lo sia dalla vita; è credenza popolare indiana che ancora nel grembo materno egli non sogni la sua vita futura come si crede accada normalmente, ma sogni il modo per evitare di nascere). Il sacerdote è il “ministro del culto”, conoscitore e maestro del cerimoniale rituale.
La conoscenza del cielo e dell’origine e delle peculiarità degli astri, è quindi tra le prerogative dello sciamano, il quale scopre la correlazione tra i moti del sole e l’alternarsi delle stagioni, e cerca di interpretare i movimenti della luna nonché il sorgere e il tramontare di alcune delle stelle più luminose (RigelAldebaranSirio...), o della sacra Stella del Mattino (Venere), cui gli indiani del Sud-Ovest (Pueblos) e alcune famiglie delle pianure (Pawnee) dedicano un culto particolare.

L’OSSERVAZIONE ASTRONOMICA
Citiamo qui alcune delle prove dell’attività osservativa svolta dai popoli autoctoni dell’America settentrionale, identificate come tali grazie al lavoro paziente di archeologi che si sono tra l’altro avvalsi di consulenze scientifiche competenti:
  1. i cumuli di terra (mounds) risalenti alle antiche culture Adena (che realizzò le strutture più semplici tra il 1000 a.C. e il 200 d.C.) e Hopewell (che sostituì la cultura Adena), avevano forse un valore religioso e talvolta erano utilizzati come monumenti funerari eretti per distinguere la tomba di uno sciamano o un notabile del villaggio (burial mounds); in certi casi la loro altezza arriva ad alcune decine di metri e ciò le rende simili alle piramidi azteche e maya e, come per queste ultime, anche per esse si sta cercando di verificare l’esistenza di eventuali allineamenti astronomici (già scoperti per cinque serie di Mounds in prossimità di altrettanti villaggi del Kansas); tale somiglianza rappresenta una delle prove di contatti della cultura Hopewell con i popoli mesoamericani avvenuti intorno all’anno 1000. In particolare nei pressi dei resti della città di Cahochia, che sorgeva in un’ampia regione circondata da mounds, si trova un vero e proprio osservatorio solare, in origine costituito da alcuni pali piantati in cerchio nel terreno, intorno ad un palo centrale in modo tale che traguardando verso il palo centrale da ciascuno di essi si individuavano le posizioni del sorgere del sole ai solstizi, agli equinozi, o in momenti intermedi (come avviene per le grandi pietre delle strutture megalitiche dell’Europa settentrionale, come Stonehenge, ed anche per questo motivo ai resti del cerchio fu attribuito dagli archeologi il nome di Woodhenge, dall’inglese wood, bosco).
  2. Alcune delle antiche costruzioni in muratura delle culture Hohokam e Anasazi (un esempio è costituito dalle kivas, case per lo più di forma rotonda costruite con mattoni di fango essiccati al sole, gli adobes e utilizzate per convegni o cerimonie religiose e talvolta utilizzate come veri e propri osservatori astronomici), rivelano allineamenti astronomici, come ad esempio la Casa Grande Hohokam, un gruppo di kivas rettangolari comunicanti tra loro, nel quale è stato possibile rilevare l’allineamento di alcuni ingressi con le posizioni del sorgere o del tramontare del sole ai solstizi nonché della luna al momento della massima o della minima declinazione (+i, -i) (ricordiamo che la declinazione è l’altezza angolare di un astro sull’Equatore celeste e che maggiore è la declinazione, più spostato verso Nord appare il punto in cui sorge l’astro; ne risulta un maggiore arco descritto da esso nella volta celeste e una “culminazione più alta sull’orizzonte”). Gli allineamenti in questione sia riguardano l’intera pianta della costruzione nel suo insieme, sia la disposizione di feritoie, finestre e porte; in tal caso sono realizzate con il metodo degli “stipiti alternati”, che garantisce la possibilità di individuare una direzione dell’orizzonte traguardando ad esempio attraverso uno stipite di una apertura esterna e quello opposto di una apertura più esterna (metodo utilizzato anche nelle costruzioni sacre Maya).
  3. Gli Anasazi (chiamati dagli Spagnoli Pueblos, parola che indica i villaggi in muratura in cui essi vivevano al tempo della conquista europea) per un lungo periodo della loro storia erano vissuti anche in abitazioni, dette cliff dwellings, scavate nelle pareti rocciose dei picchi e delle Mesas dell’Arizona (montagne dalle pendici rocciose e scoscese e appiattite alla sommità), e presso una di queste, nel Chaco Canyon, in cima ad una collina, il picco Fajada, è stata ritrovata una strana incisione sulla roccia costituita da due petroglifi a forma di spirale sulla parete rivolta ad est, di fronte a tre pesanti lastre di pietra poste di fronte ad essi in modo tale che la luce del sole al mattino, filtrando attraverso le lastre, formi due strette lame luminose una delle quali al solstizio estivo spostandosi con il movimento del sole attraversa il centro della spirale maggiore, mentre l’altra attraversa il centro della spirale minore agli equinozi ed entrambe scorrono in direzione tangente alla spirale maggiore da parti opposte di essa il giorno del solstizio invernale; durante i periodi intermedi le due lame attraversano cerchi interni diversi delle due spirali: tutto ciò fornisce un sofisticatissimo calendario solare (tale scoperta fu fatta nel 1977 e si deve ad Anna Sofaer, una archeologa dilettante che si avvalse tra l’altro della collaborazione di Rolf M. Sinclair, fisico della National Science Foundation).
    È evidente che lo sciamano-astronomo che fu artefice di questa opera notò dapprima come attraverso quelle pietre, ammassate confusamente dalla natura, la luce filtrasse formando due cunei sottili sulla parete rocciosa antistante, poi studiando attentamente, giorno dopo giorno, il moto delle lame di luce dovuto al moto diurno del Sole, lavorò le pietre per assottigliare la forma delle lame e quindi tracciò con estrema cura e precisione le due spirali. Gli stessi Pueblos e le singole kivas presentano allineamenti con punti dell’orizzonte significativi dal punto di vista astronomico, come accade ad esempio per la grande pianta a D del villaggio Anasazi denominato Pueblo Bonito, forse il più grande insediamento Anasazi, il cui lato rettilineo è aperto e orientato nella direzione Nord-Sud, mentre la parete che delimita la D lungo il suo lato curvo volge la concavità a Est come per raccogliere e concentrare il più possibile all’interno del Pueblo la luce del sole al momento del suo sorgere; inoltre la parte settentrionale della parete curva è rialzata allo scopo sia di proteggere il villaggio dai freddi venti del Nord, sia di concentrare maggiormente la luce del Sole all’interno durante i mesi autunnali e invernali (nei quali il Sole è più basso all’orizzonte verso Sud).

Pueblo Bonito nel Chaco Canyon

  1. Il fisico americano John Eddy si è dedicato per lungo tempo allo studio di particolari disposizioni di pietre lasciate sul terreno a formare un cerchio con linee rette radiali che partono approssimativamente dal centro e che permettevano, all’epoca della loro costruzione, di individuare non solo le posizioni del sorgere e del tramontare del sole ai solstizi e agli equinozi, ma anche quelle del sorgere e del tramontare della luna ai punti estremi settentrionale e meridionale e delle stelle più luminose (SirioBetelgeuseRigel, e Aldebaran; questi oggetti, ritrovati in grande quantità in una zona assai ampia estesa tra il Colorado e le fredde regioni settentrionali al confine con il Canada, sono stati denominati “ruote della medicina” (dove il termine “medicina” è inteso nel senso già specificato sopra). Una delle più note di queste strutture è quella ritrovata in un pianoro su di una delle cime del massiccio del Big Horn nel Nord del Wyoming, a 3.000 metri di altezza. Qui gli Sciamani seguendo i movimenti degli astri potevano determinare i tempi esatti in cui il loro popolo doveva compiere i riti propiziatori stagionali. In particolare era importante osservare il “levare eliaco” delle stelle, ovvero il loro primo apparire a Est immediatamente prima dell’alba, che nel caso di Aldebaran annunciava l’imminente solstizio estivo, seguito a ventotto giorni di distanza dal levare eliaco di Rigel, che a sua volta precedeva di altri ventotto giorni quello di Sirio; quest’ultimo anticipava la fine dell’estate e, nel caso della ruota del Big Horn, l’inizio di quel periodo in cui, a causa della neve e del gelo non sarebbe più stato possibile agli “osservatori delle stelle” raggiungere il luogo di osservazione.
    Occorre ricordare che il pur lento moto di precessione dell’asse di rotazione della Terra (dovuto all’attrazione gravitazionale della Luna sulla Terra e al fatto che la Terra non è una sfera ma è leggermente schiacciata ai poli e si comporta quindi come una trottola inclinata, il cui asse di rotazione si muove descrivendo una superficie conica), ha determinato nei secoli una variazione delle posizioni degli astri nel cielo, quindi anche dei tempi del loro levare eliaco; in tal modo l’intervento degli astronomi e la loro conoscenza dei tempi caratteristici di tale spostamento ciclico (il cui periodo è 27.000 anni circa) hanno reso possibile una datazione di tali costruzioni, poi confermata con metodi diversi. Si è dunque scoperto che queste strutture, risultato di osservazioni precise e sistematiche, furono realizzate in un arco di tempo della durata di oltre un millennio (la ruota del Big Horn risale al 1700 d.C. circa, mentre un’altra ruota trovata nella Moose Mountain, a sud-est di Regina, nella regione canadese del Saskatchewan, risale circa al 100 d.C.), e ciò dimostra quali profonde radici avesse nella cultura indiana la pratica dell’osservazione astronomica.

GLI ANASAZI E LA SUPERNOVA DEL 1054 d.C.
Destò meraviglia e curiosità la scoperta, presso due diversi antichi insediamenti Anasazi in Arizona (presso le rovine di un antico “pueblo” a White Mesa e su di una parete del sistema del Navajo Canyon) di graffiti su pietra identici, raffiguranti una stretta falce di luna crescente e vicino ad essa una stella molto luminosa; scartata l’ipotesi che il petroglifo potesse ritrarre un allineamento traVenere, “stella del mattino” con la Luna evento non così raro da meritare una simile rappresentazione, non rimase che constatare che potesse raffigurare una stella straordinaria, una Supernova(l’esplosione di una stella di grande massa alla fine della sua vita) che brillò repentinamente nel cielo. Molti elementi fanno oggi ritenere che questa stella così immortalata dagli Anasazi sia stata la famosa supernova del 1054 registrata negli annali cinesi e che diede origine alla nebulosa del granchio, ed in particolare, tra questi, il fatto che essa, così luminosa (magnitudine -6) da essere visibile anche di giorno, il 14 Luglio di quell’anno venne a trovarsi a 2 soli gradi d’arco di distanza dalla luna, allora nella fase di “luna nuova”.

IL CIELO NELLA LA RELIGIONE E NELLA MITOLOGIA
Il principale rapporto tra il cielo, con i suoi moti apparenti, e la religione consiste nel già citato legame esistente tra le feste religiose stagionali ed il movimento del Sole nella volta celeste, la cui osservazione sistematica rendeva gli sciamani in grado di determinare con esattezza i tempi opportuni per lo svolgimento delle stesse. Ne è prova la grande quantità di antichi osservatori solari trovati. Tutto ciò contribuisce a rendere il Sole una delle divinità principali anche presso la civiltà degli indiani d’America come in tutte le culture legate a tradizioni antichissime; nella mitologia religiosa indiana il Sole diventa il dispensatore di luce e di vita, ma anche Colui che può distruggerla. Per i Natchez (che popolavano il basso Mississippi) era la divinità suprema e costituiva il simbolo della massima autorità politica e sacerdotale del popolo nonché della casta dominante. Tra i popoli delle pianure della regione centrale degli odierni Stati Uniti d’America, ad esso è dedicata la cerimonia votiva più importante di tutto il rituale indiano: la “Danza del Sole”, comune a tutte le famiglie indiane delle pianure (Sioux, Pawnee, Crow...), che in molti casi prevedeva il terribile rituale dell’hock swinging (descritto dettagliatamente dal pittore-giornalista americano R. Catlin che fu il primo bianco autorizzato ad assistervi, e immortalato nel film “Un uomo chiamato cavallo”). In esso, tra l’altro, colui che formulava il voto, dopo quattro giorni di digiuno assoluto, e dopo lunghi e complessi preparativi, si autolesionava facendosi conficcare nella pelle del petto dei cavicchi appuntiti e dello spessore di un dito, veniva poi agganciato alla sommità di un alto palo centrale tramite delle corde, sollevato da terra e fatto ruotare lentamente fino allo sfinimento per il dolore, sopportato stoicamente per ore invocando il Grande Spirito con lo sguardo rivolto ai feticci collocati alla sommità del palo o direttamente al Sole.
Nella mitologia il rapporto tra gli indiani e la Natura (e quindi il cielo) si esprime nel modo più vario e ricco di colore e poesia. Gli antropologi suddividono la mitologia indiana in tre diversi temi fondamentali: l’origine del mondo (la cosmogonia), i miti dell’eroe furfante (tra cui quelli che hanno come protagonisti il vecchio uomo-coyote o il corvo, che rivestono la doppia funzione di eroi fondatori e di ladri astuti), i miti sulla natura.
Vediamo ora alcuni tra miti indiani sulla creazione più curiosi: per i Pueblos, ad esempio, il cielo non ha un ruolo attivo nella nascita del mondo ma esso si forma nelle viscere della terra, per la stessa legge di natura per la quale dai semi ha origine la vita. Ma la vita che si crea nelle caverne sotterranee è un immondo e oscuro miscuglio di tutte le sue forme; il mondo viene liberato dalle tenebre grazie all’intervento dei Gemelli della Guerra, capostipiti della razza umana, i quali risalgono il fusto di un alto albero da loro seminato, portando con sé gli animali sacri: il ragno, il falco, il coyote, la rondine e la locusta e liberano il loro popolo. Giunti in superficie il coyote libera le stelle, il ragno tessendo la sua tela disegna la luna, il falco con il battito delle sue ali dirige le acque verso l’oceano, ed il popolo, ucciso un cervo bianco costruisce il sole con la sua pelle.
Secondo una leggenda Wasco poi, Coyote, in compagnia di quattro lupi ed un cane, notò che ogni notte essi volgevano lo sguardo verso un punto del cielo buio; per tre notti egli chiese ad uno di loro che cosa vedesse, senza ottenere risposta. Alla fine il lupo più giovane gli indicò un punto nel cielo in cui si trovavano due orsi Grizzly, e Coyote, per raggiungerli lanciò molte frecce nel cielo in modo che la prima si conficcasse nella volta celeste, e le successive si conficcassero in quella precedente in modo da formare una scala su cui tutti potessero salire per poter osservare gli orsi da vicino. Quando i lupi ed il cane furono saliti in cielo e Coyote li vide fermi e assorti, pensò di immortalarne l’immagine nel cielo in modo da formare l’insieme di stelle della “tazza” (il grande carro), in cui il manico è formato da tre lupi dei quali quello centrale tiene il cane vicino a sé (la stella doppia Mizar e Alcor) mentre gli orsi formano il lato della tazza allineato con la stella polare(Dubhe e Merak). Quindi Coyote, divertito, proseguì la disposizione delle stelle nel cielo in varie configurazioni.
I Pawnee invece affidano al cielo un ruolo di primo piano nella creazione del mondo: per loro la divinità principale è Tirawa, sposato ad Atira, “volta del cielo”. Egli è padre e signore dell’universo e comanda i movimenti degli astri; in tal modo impone il matrimonio tra la stella del mattino con quella della sera, dal quale nasce la donna, e del Sole con la Luna, dal quale nasce l’uomo, al quale poi vengono affidati i “fagotti” dei feticci rituali e le regole dei cerimoniali religiosi. In particolare gli vengono impartite le direttive per la costruzione delle “case” in cui si dovevano svolgere le cerimonie: esse per la tribù Wolf dovevano avere un soffitto a forma di volta (in analogia con la volta celeste) sorretta da 4 colonne che simboleggiavano le 4 stelle più importanti, la stella rossa (forse Antares), la stella gialla (Capella nella costellazione dell’Auriga), la stella bianca (Sirio) e la stella nera (qualcuno pensa si tratti di Vega, che tuttavia non si può definire in alcun modo “nera”, ma l’interpretazione più veritiera, anche alla luce della traduzione letterale delle testimonianze originali, che parla di “grande stella nera sparsa intorno”, afferma che doveva trattarsi di un grosso bolide esploso disgregandosi in uno stillicidio di meteoriti), con un’apertura nel centro collocata esattamente sul fuoco centrale (per fare uscire il fumo) consacrata alle stelle che man mano venivano a trovarsi allo zenith (“i Capi che siedono in Consiglio”).
L’ingresso era rivolto verso Est, mentre dal lato occidentale si trovava un altare; tale allineamento permetteva alla luce del Sole e della stella del mattino al loro sorgere di illuminare un teschio di bufalo collocato vicino al fuoco. Oltre a ciò la disposizione dei villaggi doveva riprodurre la volta celeste, in modo che ogni villaggio corrispondesse ad una stella del cielo, e fosse ad essa consacrato. Al sorgere di una stella sacra per un certo villaggio, in esso si svolgevano i cerimoniali propiziatori opportuni grazie ai quali l’astro avrebbe assicurato prosperità e fortuna agli abitanti.

La mitologia Pawnee è complessa e contiene molti riferimenti al cielo; in particolare è oggetto di culto la stella del mattino (il pianeta Venere, nella loro mitologia erroneamente distinto dalla stella della sera) cui è dedicato un rito che prevede il sacrificio di una giovane prigioniera, la quale viene dipinta di rosso e di nero ad indicare il confine tra il giorno e la notte segnato dall’astro e viene trafitta con le frecce che la invieranno verso Stella del Mattino, suo sposo celeste.
Anche i Pueblos venerano la stella del mattino (che fa parte delle “divinità naturali”, o “kachina”); essa identifica una divinità maschile protettrice dei cacciatori, che viene invocata perché conceda al popolo gli animali cui potersi nutrire (nella mitologia spiega al cacciatore mitologico Giovane Freccia il motivo che non riesce più a uccidere cervi perché una strega malvagia ha rapito e ucciso la sorella Donna Gialla, divinità della Luna).
Vi sono poi tanti motivi par cui anche la Luna sia oggetto di osservazione e di culto; il fatto che la luna piena illumini la terra al punto da consentire la caccia anche nelle ore notturne, la sorprendente corrispondenza tre il ciclo lunare e il ciclo biologico femminile, il fatto che la gestazione prima del parto abbia una durata di nove lunazioni. Tutto ciò determina il fatto che le divinità della Luna siano imparentate o talvolta identificate con divinità protettrici della caccia (Kochinako o “Donna Gialla” dei Pueblos è sorella di Giovane Freccia), ma siano anche spesso divinità femminili o responsabili della creazione della donna (come in un magnifico mito della creazione Sioux così narrato dallo sciamano Leonard Dog Crow:
«E quindi venne il momento di creare la donna.
Allora non c’era la Luna; era ancora il periodo della sacre novità. Il Sole convocò ancora tutti i pianeti e le creature sovrannaturali, e quando furono riuniti, il Sole con uno dei suoi vividi lampi, si tolse un occhio. Lo gettò sul vento della sua visione in un certo luogo e divenne la Luna. E su questo nuovo globo, quel pianeta “occhio” creò la donna.
“Tu sei un pianeta vergine, una fanciulla Luna” le disse “Ti ho toccata e fatta con la mia ombra, voglio che cammini sulla terra”, e quando lei chiese “Come potrò camminare su quella terra?” il Sole creò il potere e la ragione della donna, impiegò il fulmine per costruire un ponte tra la Luna e la Terra e la donna camminò sul fulmine...
Essa camminò sul lampo, ma essa camminò pure su una vena di sangue che andava dalla terra alla Luna.
Questa vena era una corda, un cordone ombelicale che andava dentro il suo corpo, e per mezzo di esso lei è sempre collegata con la Luna. Ed a lei furono dati i nove mesi della creazione)
».
Il cielo per i Pawnee è anche l’aldilà; ad esso salgono le anime dei morti; alcune anime di guerrieri o cacciatori morti sono divenute stelle o gruppi di stelle. In particolare le anime dei codardi e dei malati (la codardia è vista come una malattia in quanto come la malattia rappresenta una menomazione per un guerriero), percorrono la Via Lattea, e sorvegliati dalla Stella del Mattino, vengono condotti dalla Stella della Malattia (forse la stessa Antares) verso la Stella del Sud.
Molte leggende indiane riguardanti la natura hanno come protagonista il cielo non solo presso i Pawnee, ma anche presso molte altre popolazioni: l’identificazione tra stelle ed eroi mitologici ha un suo esempio nella storia del grande capo Lunga Fascia, identificato nella costellazione di Orione, il quale riunito il suo popolo presso le due stelle dei gemelli, dopo averle consultate, lo condusse di vittoria in vittoria lungo la Via Lattea. Dalla sua morte il suo corpo riposa nelle Pleiadi (ammasso aperto nella costellazione del Toro), ed il suo cuore nel Presepe (altro ammasso aperto nella costellazione del Cancro).
Per gli indiani Chinook (popolo del Nord-Ovest) invece la cintura di Orione (le tre stelle allineate al centro della costellazione) e la spada (gruppo di stelle a semicerchio che seguono Bellatrix, cioè la mano) sono due canoe.
La stella Arturo, brillante stella arancio localizzabile prolungando l’arco del timone del grande carro, viene identificata con il grande cacciatore Falco Bianco, mentre Alphecca, la stella più luminosa della corona boreale è la sua sposa.
Gli indiani del New England (Mohicani, Massachusset, Delaware), considerano le tre stelle del timone del Grande Carro tre cacciatori impegnati nella caccia all’orso; la stella centrale, che è doppia (Mizar Alcor), è vista come il cacciatore che regge la pentola in cui cucinare l’orso. La caccia ha buon esito all’inizio dell’autunno, quando il sangue dell’orso ucciso arrossa le foglie degli alberi.
Tra i Pueblos del gruppo linguistico Tewa si racconta la storia di Cacciatore di Cervi e di Fanciulla Grano Bianco, due giovani bellissimi che non avevano occhi che l’uno per l’altra e che, cresciuti insieme con il loro amore si sposarono; ma un giorno Fanciulla Grano Bianco si ammalò e in tre giorni morì. Si dice che dopo la morte l’anima vaga sulla terra per quattro giorni e che in essi può apparire in sogno a coloro che può avere offeso per chiedere il loro perdono. Gli abitanti del villaggio per liberare sé stessi e consentire all’anima di accedere al Regno dei Morti, devono accordarle il perdono con una preghiera; ma Cacciatore di Cervi era così disperato che venne meno a questo dovere.
Un giorno mentre si aggirava intorno al villaggio, notò, vicino ad un cespuglio una piccola fiamma accesa. Si avvicinò ad essa e con grande sorpresa vide davanti ad essa la sua donna; ella lo implorò di lasciarla andare nell’Aldilà, ma lui si rifiutò e anzi volle che lei tornasse con lui a casa. Fanciulla Grano Bianco inizialmente cercò di convincerlo a desistere, in quanto ella ormai era morta, ma alla fine commossa cedette e accettò di tornare da lui. Quando gli abitanti del villaggio la videro si spaventarono e cercarono di dissuaderlo, ma non vi riuscirono.
A poco a poco, però il bell’aspetto di lei mutò, la pelle divenne grigia e si disseccò, e cominciò ad emanare l’odore delle cose morte ed egli prima cominciò a volgerle le spalle nel letto, poi a vegliare tutta la notte sul tetto della sua capanna, finché un mattino non apparve una creatura imponente, avvolta in una pelle di daino bianco, e armata di arco e frecce che con voce profonda annunciò di essere stato inviato dal regno dei morti a ristabilire l’ordine che i due giovani sposi avevano sovvertito. quindi scagliò una freccia parallela al suolo verso occidente che li trasportò nel cielo nel quale avrebbero continuato ad inseguirsi e cercarsi come avevano fatto in vita (e come oggi fanno Mercurio e Venere, quando appaiono a occidente poco dopo il tramonto). Cacciatore di Cervi divenne una stella molto luminosa (Venere) e Fanciulla Grano Bianco una stella più tenue e tremolante (Mercurio).


BIBLIOGRAFIA:
  • Giuliano Romano: “Archeoastronomia” (da “Astronomia: alla scoperta del cielo” vol. 5 pp. 1705-1753) - Ed. Curcio
  • Philippe Jacquin: “Storia degli Indiani d’America” - Ed. Mondadori
  • Robert H. Lowie: “Gli Indiani delle pianure” - Ed. Il Saggiatore
  • R. Erroes - A. Ortiz: “Miti e leggende degli Indiani d’America” - Ed. Mondadori
  • Hamilton A. Tyler: “L’Alce Sacro: i miti della natura degli Indiani Pueblo” - Ed. Rusconi
  • J. Cornell: “I primi osservatòri” - Ed. Feltrinelli

Si ringrazia il dott. Piergiorgio Bezzi per i preziosi consigli.

Monografia n.16-1997/10



riferimento:http://planet.racine.ra.it/testi/ruote.htm



sabato 26 aprile 2014

Nasa conferma guarigioni e abilità sovrumane concentrandosi sul Sole?

Nasa La ghiandola pineale è fortemente collegata alla luce solare per questo motivo molte tradizioni consigliano di svegliarsi molto presto e meditare e osservare il sole all’alba. Lo stesso motivo per cui le popolazioni in cui vi è molto sole le donne e gli uomini sviluppano prima ed hanno una maggiore fertilità.

A quanto pare la NASA ha confermato che sole guardando fisso è una pratica valida per sviluppare facoltà superumane e per guarire il corpo. Ho provato a seguire le fonti, ma non ho trovato alcuna certezza. Quindi, così com’è, non ci sono prove della NASA, tuttavia il soggetto è davvero interessante e merita una lettura.
Mai voluto essere in più di un posto alla volta? Esatto, sto parlando di abilità sovrumane che possono essere ottenute da chi segue il protocollo conosciuto come Sun-Gazing, “guardando il sole”, una pratica valida recentemente confermata dalla NASA. Molti sostenitori di questa antica tecnica, usata da molte culture come i Maya, gli Egizi, Atzechi, Tibetiani e Indiani, riportano non solo benefici di guarigionee alle comuni malattie, ma anche l’ottenimento di abilità da super umano come un’avanzata telepatia e l’aver non bisogno di cibo.
conferma guarigioni e abilità sovrumane concentrandosi sul Sole?

ROMA com'era


lunedì 17 marzo 2014

Perché le piante vivono più a lungo degli animali

Detail-alberi

Con circa 200 anni di vita media, la balena artica è forse l'animale più longevo al mondo, eppure la durata della sua esistenza impallidisce di fronte a quella di molte piante, che sopravvivono tranquillamente per secoli, se non millenni. Come mai? Il merito è di una popolazione di cellule staminali presenti nelle radici, meno sensibili ai danni che si accumulano nel Dnadurante la divisione cellulare, che fornirebbero alle piante una maggiore resistenza all'invecchiamento. Stando a uno nuovo studio dell'Università di Ghent, pubblicato sulle pagine della rivista Science Express, a regolare il funzionamento di queste cellule sarebbe una proteina, il fattore di trascrizione Erf115.
La crescita e lo sviluppo degli organismi (piante o animali che siano) dipende dalla continua produzione di nuove cellule, che vanno a sostituire quelle danneggiate. È di questo si occupano le cellule staminali (chiamatemeristematiche nelle piante), strutture “indifferenziate” che mantengono la capacità di trasformarsi in altri tipi di cellule “specializzate” in caso di bisogno. In tutte le cellule però, anche nelle staminali quindi, ogni nuovo ciclo di divisione cellulare porta all'accumulo di piccoli errori di copiatura nel materiale genetico, che a lungo andare ne compromettono il funzionamento. Col tempo dunque le staminali perdono la loro capacità di sostituire le cellule malfunzionanti dell'organismo, causandone l'invecchiamento.
Accanto alle cellule meristematiche normali, nelle radici delle piante sono presenti anche dei nuclei di cellule staminali che si dividono più raramente (circa 3-10 volte meno delle altre), definite quindi quiescenti. Subendo meno cicli di divisionecellulare, queste cellule risultano meno sensibili all'accumulo di danni all'interno del loro Dna.
“Le cellule staminali quiescenti mantengono una copia intatta del Dna, che può essere utilizzata per rimpiazzare le cellule danneggiate in caso di bisogno”, spiegaLieven De Veylder, ricercatore dell'università olandese che ha coordinato il nuovo studio. “Anche negli animali è presente un meccanismo simile, ma quello delle piante è più ottimizzato. È per questo che molte specie vegetali possono vivere per centinaia di anni, mentre per gli animali è molto raro”.
La scoperta del team di Veylder è dunque che la transizione tra cellule staminalinormali e quiescenti è regolata da questo fattore di trascrizione. Quando la pianta ha bisogno di rimpiazzare le cellule meristematiche, all'interno delle staminali quiescenti si attiva Erf115, dando il via alla produzione di un ormone, laphytosulfokine, che a sua volta attiva la divisione cellulare. Secondo i ricercatori, le piante riescono in questo modo a rispondere ai periodi di stress generando cellule staminali in maniera mirata, e mantenendo al contempo un serbatoio di cellule staminali “giovani” (che hanno subito meno divisioni e quindi un minor accumulo di danni al Dna) che garantiscono loro una maggiore longevità.
Riferimenti: Science DOI: 10.1126/science.1240667

sabato 1 marzo 2014

Preghiera Cherokee

“Oh Grande Spirito,
concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare,
il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare,
e la Saggezza di capirne la differenza.”